Episodios

  • Al carcere delle Murate le torture continuano
    Oct 1 2025
    Memorie di Ferdinando Pretini, partigiano della Divisione Giustizia e Libertà.

    Arrestato nel novembre del 1944 fu una delle vittime più ferocemente torturate dalla Banda Carità, il Reparto dei Servizi Speciali comandato da Mario Carità, che operò a Firenze durante il periodo della Repubblica Sociale.

    I tentativi di Carità di ottenere informazioni dal nostro parrucchiere continuarono anche durante la detenzione. Un giorno un incaricato del maggiore gli chiese di descrivere i connotati della persona alla quale, come aveva riferito la spia, Pretini aveva consegnato molte paia di scarpe destinate ai partigiani di Monte Morello. La sospettata era Eleonora Benveduti Turziani, la dirigente azionista che si occupava della protezione dei clandestini e fuggiaschi e dell'approvvigionamento per le formazioni partigiane dislocate sull'Appennino. Carità l'aveva fermata ma nei suoi confronti non possedeva alcun elemento di prova e nella sua abitazione non era stato trovato nessun materiale sospetto. Per depistare il maggiore Ferdinando attribuì alla donna, a cui aveva consegnato le scarpe, connotati esattamente opposti a quelli della Turziani. In quei giorni di prigionia, utilizzando dei bigliettini ricavati dai moduli a stampa del carcere, Pretini annotava i fatti che gli sembravano rilevanti e intratteneva una minima corrispondenza con la moglie Maria Mainardi. In una nota non datata scrive di aver visto dallo spioncino uno dei luogotenenti di Carità, un certo capitano Agostini, che, passando di fronte alla sua cella, aveva detto ad alta voce: “per questo famoso Pretini si può ordinare la cassa da morto, è questione di giorni se non di ore, con Carità non si scherza, quello te li liquida tutti al muro i partigiani, ma se canta, potrà salvarsi.”

    Lettura tratta dal libro di Francesco Saverio Tucci, “Il parrucchiere, il monaco, la spia”, Youcanprint, 2022

    Memorie di Resistenza fiorentina è un progetto, realizzato dal Comune di Firenze, che raccoglie storie di persone che hanno contribuito alla Resistenza delle città con l’obiettivo di promuovere un patrimonio di memoria storica collettiva.
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  • Le torture subite a Villa Malatesta per mano di Carità e della sua banda
    Oct 1 2025
    Memorie di Ferdinando Pretini, partigiano della Divisione Giustizia e Libertà.

    Arrestato nel novembre del 1944 fu una delle vittime più ferocemente torturate dalla Banda Carità.

    La Banda Carità è il nome con cui è conosciuto il Reparto dei Servizi Speciali, che opera a Firenze durante il periodo della Repubblica Sociale e comandato da Mario Carità.

    Il trattamento riservato a Pretini fu di una violenza e di una crudeltà indicibili e il militante azionista portò per il resto della vita i segni di quel sadico accanimento sulla sua persona. Sul parrucchiere, Carità testò tutto il suo repertorio di tecniche inquisitorie, che comprendeva non solo violenze fisiche di ogni genere ma anche sevizie morali, intimidazioni, minacce, ricatti, shock emotivi. Ma lasciamo la parola a Ferdinando: Anzichè mettermi con gli altri imputati mi portarono davanti ad un usciolino dalla porta del cortile – era molto buio e imperversava il maltempo – e mi dissero: “Entra qua dentro!” Non ebbi il tempo di affacciarmi che mi sentii percuotere violentemente dal calcio del fucile nella schiena, con accompagnamento di calci e pugni, che mi fecero ruzzolare in una cantina semibuia. Mi trovai in fondo alla scala, quando simultaneamente due militi di Carità mi si scagliarono addosso e cominciarono, proseguirono ininterrottamente l'opera dei primi, percuotendomi violentemente con i calci di fucili e delle rivoltelle, alternando le percosse con grida di minacce, dicendomi: “Parla, traditore; devi parlare a tutti i costi, dal momento che ti hanno portato qui, vuol dire che sei un traditore!” In un momento di tregua domandai loro: “Ma perchè mi picchiate in questo modo, se il vostro comandante mi deve ancora interrogare?” Risposero con una scarica ancora più violenta di pugni e di calci, dicendomi: “Questo per farti capire e ricordare di non dimenticare niente di ciò che devi e sai di dover dire.”

    Letture tratte dal libro di Francesco Saverio Tucci, “Il parrucchiere, il monaco, la spia”, Youcanprint, 2022

    Memorie di Resistenza fiorentina è un progetto, realizzato dal Comune di Firenze, che raccoglie storie di persone che hanno contribuito alla Resistenza delle città con l’obiettivo di promuovere un patrimonio di memoria storica collettiva.
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  • Il perdono? Memorie su Mario Carità e la sua banda di torturatori di Gilda Larocca
    Oct 1 2025
    Gilda Larocca è stata una partigiana della divisione Giustizia e libertà e membro di Radio CORA, emittente clandestina che dal gennaio al giugno 1944 mantenne i contatti tra la Resistenza toscana e i comandi alleati.

    La Banda Carità è il nome del Reparto dei Servizi Speciali che opera a Firenze durante il periodo della Repubblica Sociale, comandato da Mario Carità.

    Si deve sapere, da tutti, a cosa può portare la privazione della libertà, per incitare, sempre, al rifiuto di ogni e qualsiasi forma di violenza. E fu con lo stesso spirito, solo per coerenza e per giustizia che non firmai, qualche anno dopo il processo, un documento, una specie di perdono giudiziale per la riabilitazione di uno dei “quattro santi”. Il perdono, avrei anche potuto firmarlo, loro, non erano altro che i “manovali” del crimine verso i quali avevo nutrito un misto di ripugnanza, di disprezzo ed anche una punta di pietà, perchè, evidentemente, erano dei tarati; ma non per la riabilitazione: se uno è veramente pentito, deve accettare le conseguenze dei crimini commessi. Ma se la riabilitazione doveva servire solo a farlo rientrare nel consorzio delle persone oneste, civili, con un passato di quel genere, per me non andava bene; non è con una firma che si può trasformare una belva in un uomo. E sarebbe stato, a mio avviso, come offendere ancor più le loro vittime.

    Lettura tratta dal libro di Gilda Larocca, “La Radio Cora di Piazza d'Azeglio e le altre due stazioni radio” pubblicato dalla casa editrice Giuntina nel 2004

    Memorie di Resistenza fiorentina è un progetto, realizzato dal Comune di Firenze, che raccoglie storie di persone che hanno contribuito alla Resistenza delle città con l’obiettivo di promuovere un patrimonio di memoria storica collettiva.
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  • Mario Carità
    Oct 1 2025
    Il comandante del Reparto dei Servizi Speciali che opera a Firenze durante il periodo della Repubblica Sociale, nelle parole di Agostino Chesne Dauphinè, organizzatore per il Partito d'Azione del soccorso ai prigionieri alleati e agli ebrei.

    Dopo gli interrogatori e le torture di Carità è inviato in campo di concentramento, da cui fugge in modo rocambolesco.

    Lo ricordo bene: i capelli nerissimi sui cui spiccava una candida ciocca nel mezzo della fronte, rivelatrice di anomalie che avrebbero fatto fare balzi di gioia a Lombroso. Ricordo la bocca sensuale, carnosa, il viso floscio e giallo, lo sguardo costantemente collerico, i pugni che stringeva di continuo, parlando. E un mento prominente, dalle mascelle favolose. Lo ricordo come lo vidi all'attimo della mia partenza verso la deportazione: nel mezzo di strada, pieno di spavalderia, con quelle sue narici da toro che si dilatavano a scatti, come a fiutare la femmina, con quella sua fronte minima, appena una striscia di carne fra sopracciglia e capelli. Batteva sulle cosce sode il frustino, teneva le spalle esageratamente indietro il mento all'insù, si bilanciava flettendo i ginocchi, come Mussolini. Quanto sangue, quante crudeltà, quante lacrime si nascondevano dietro a quelle spalle insolenti. Dal camion dov'ero, gli mollai un accidente. Fu un tiro lentissimo, ma preciso. Ci mise otto mesi ad arrivare, e lo raggiunse appunto quel tal giorno a Siusi, per mano di un soldato americano.

    Lettura tratta dall'articolo di “Gulliver”, pseudonimo di Agostino Chesne Dauphinè, “Povero Carità!… La verità vera sulla fine di un brav'uomo”, pubblicato sul periodico antifascista “Non Mollare” del 28 ottobre 1946

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    2 m
  • Erano giorni o secoli per quella madre?
    Oct 1 2025
    Passo della lettera di Clotilde Fusconi, madre di Anna Maria Enriques Agnoletti, partigiana, fucilata a Cercina, una frazione di Sesto Fiorentino, il 12 giugno 1944, in risposta a Patrizia, studentessa della scuola città Pestalozzi, marzo 1958.

    La lettera è conservata presso l'Istituto storico toscano della Resistenza e dell'età contemporanea.

    Il 12 giugno, dalla sua cella, la mamma intravide appena la sua diletta figliola portata via dal carcere. Alle buone suore i nazisti avevano detto che l'avrebbero portata in alta Italia, e così fu riferito alla madre. La notte stessa, invece, la condussero a morte (per mano loro!) nei boschi di Cercina; sola donna lei con altri sei giovani martiri. Rimase in carcere la mamma, altri nove giorni; poi fu lasciata tornare a casa, sola con la sua croce. Non sapeva ancora ma sentiva, sia pure senza certezza. E il figlio? Colpito crudelmente dalla sorte della sorella cara, più che mai logorava se stesso, nel rischio attivo d'ogni giorno, per finirla con quei delinquenti tedeschi e fascisti italiani! Mentre la mamma si logorava dentro, fra gli angosciosi sulla sorte di tutti e di tutto per cinquanta giorni ancora; ma erano giorni o secoli per quella madre? Poi venne l'11 agosto, rivide il figlio, con la sua brava compagna; esausti, malato lui, ma col cuore in pace per non aver sofferto e rischiato invano; forse. La mamma seppe, finalmente, di Anna Maria e le parve che con l'anima, anche le sue braccia avrebbero per sempre spasimato per non poter mai più stringere al cuore la sua impareggiabile figliuola.

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  • La morte di una partigiana
    Oct 1 2025
    Anna Maria Enriques Agnoletti, partigiana, torturata e fucilata a Cercina, una frazione di Sesto Fiorentino, il 12 giugno 1944

    Fu interrogata, battuta brutalmente anche sul viso, tenuta sveglia per una settimana intera: ma non parlò e finse di non conoscere nessuno di coloro coi quali aveva collaborato. Il suo carattere tanto dolce e sereno si dimostrò allora di una fortezza eccezionale. Col suo silenzio, salvò tutti gli amici di Firenze. Dopo otto giorni fu trasferita a Santa Verdiana e così poté un poco riposare. Qui tutti rimasero edificati, dal Direttore alle Suore, della sua serenità e tranquillità. La sera del 12 giugno fu portata via a titolo di “scarcerazione definitiva”. La madre la vide passare per il corridoio per l'ultima volta: camminava con le braccia pendenti lungo il corpo, la testa un po' china in avanti; la sua attitudine era di abbandono. Avrà sentito forse nel segreto della sua anima il contrasto tra la speranza della liberazione e il timore di nuove torture. Tuttavia non domandò qual era la sua sorte. Trasferita presso la sede delle SS in Via Bolognese, di qui, con altri sei Patrioti, le mani legate, fu condotta in macchina presso Cercina. A nessuno fu annunziata la condanna, ed erano tutti votati alla morte: ignari dell'insidia si allontanavano senza un addio. Andavano per una strada di campagna sotto un palpitare di stelle, fratelli di una stessa idea, uniti da un vincolo, che non si spezza. Anna Maria era la sola donna. Che cosa sarà passato in quegli ultimi momenti nella sua anima?

    Lettura tratta dall'articolo di Aldo Spada, “Anna Maria Enriques”, pubblicato sulla rivista “Vita Sociale” del luglio-agosto 1945

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  • La distribuzione della stampa clandestina in fabbrica
    Oct 1 2025
    Giuliana Serafini, maestra sigaraia della Manifattura Tabacchi, partigiana

    La Giuliana Serafini ricorda che ritirava i manifestini in un negozio di barbiere di via del Ponte alle Mosse con la parola d'ordine: “Sono la moglie dell'arrotino! Mi dà le forbici da arrotare?”; nel retrobottega infilava i volantini nel giornale “Era fascista”, che poi teneva bene in evidenza per stornare l'attenzione dei fascisti e trasportare la stampa con una certa tranquillità. Altre volte, quando erano più voluminosi li nascondeva nel corsetto, ma una di queste volte corse un bel rischio: nel recarsi ad un appuntamento oltre il ponte San Niccolò con Sandro Setti, cui Fabiani aveva passato il collegamento con le sigaraie, mentre passava il ponte fu fermata da due militi, che le chiesero cosa ci fosse nel grosso pacco che portava sul manubrio della bicicletta e che in realtà era costituito da un abito. Nello scendere bruscamente di bicicletta la Giuliana si sentì scivolare dal corsetto i manifestini e, allora, con gran presenza di spirito, si curvò sul manubrio della bicicletta per mostrare il contenuto del pacco, impedendo così che i manifestini finissero di scivolare e si sparpagliassero per terra.

    Lettura tratta dal libro “Le sigaraie della Manifattura Tabacchi di Firenze”, ricerca documentaristica e testimoniale a cura di Donatella Masini e Maurizio Bertelli, pubblicato da CGIL nel 1993

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  • Cronache di lotta. Le sigaraie della Manifattura Tabacchi e lo sciopero del marzo 1944
    Oct 1 2025
    ...le tabaccaie, venerdì 3 c. m. a mezzogiorno si posero anch'esse in sciopero. Accorsero subito le autorità, non riconosciute dalla massa, e un tedesco. I fascisti, entrati nei reparti, cominciarono a sparare, ma, le donne e gli uomini, che avevano solidarizzato, non si mossero per niente. Gli assassini fascisti colpiti da questo energico contegno, cominciarono a malmenare le donne che gli erano vicine. Gli fu risposto con le peggiori parole che si potrebbe dire loro. Il capo assassino Manganiello intese di domandare cosa si voleva, ed in coro gli fu risposto: “Abbiano fame, vogliamo la Pace, e non vogliamo che i nostri figli siano presi per forza”. Manganiello rispose, che tutto era in mano dei tedeschi e che egli non poteva far niente. Mentre parlava fu gettato un numero di manifestini che inneggiavano allo sciopero e alla lotta contro gli invasori e contro i traditori fascisti, i quali, nel momento, stavano riempiendosi le tasche di sigarette. Una compagna, accortasene, telefonò in portineria con le seguenti parole “Attenzione, Attenzione, i repubblicani svaligiano la Manifattura". Frugati in portineria fu ricuperato per un valore di L. 9500. Un Ufficiale della Guardia Repubblicana fu fatto smettere di fumare, con sua grande stizza, dalle donne. Lo sciopero proseguì il sabato ed il tedesco promise di migliorare la mensa con 2 Kg di patate al mese, qualche etto di marmellata e della farina gialla. Le donne dissero che esse volevano l'aumento delle razioni per tutti e non solo per esse. Il terzo giorno, il lunedì, si entrò in Manifattura ma il lavoro non fu ripreso al ritmo normale, anzi, possiamo dire che proseguì con lo sciopero bianco. Nello stesso tempo, fu dato un ultimatum di 3 giorni per una risposta concreta alle richieste fatte. Lo sciopero è stato totalitario e si è fatta così sentire l'avversione esistente nelle lavoratrici e nei lavoratori per gli invasori tedeschi e gli assassini fascisti.

    Lettura tratta dall'articolo “Evviva le Sigaraie” pubblicato sul foglio clandestino “L'Azione comunista” del 15 marzo 1944

    Memorie di Resistenza fiorentina è un progetto, realizzato dal Comune di Firenze, che raccoglie storie di persone che hanno contribuito alla Resistenza delle città con l’obiettivo di promuovere un patrimonio di memoria storica collettiva.
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