“Show, don’t tell” non vuol dire eliminare ogni spiegazione.Ci sono momenti in cui raccontare è necessario, efficace, e anche più pulito.

Ma quando vuoi che il lettore entri nel cuore della scena, quando vuoi che respiri l’aria dei tuoi personaggi, quando vuoi creare un dipinto con le parole…allora non raccontare. Mostra.

Lascia che ogni frase sia una pennellata.

Ogni dettaglio, un colore. Ogni silenzio… una luce.

Hai presente quella sensazione in cui le parole scorrono, leimmagini si formano quasi da sole e tu non sei più solo un autore, ma un tramite? Ecco, Quello è il flow.

Un flusso mentale, quasi fisico, in cui la concentrazione ètotale, e il tempo… sparisce.

E poi c’è il mood, l’umore emotivo che guida il tono del tuotesto. È l’atmosfera che vuoi comunicare, quella tensione silenziosa in un thriller, o la dolce malinconia in una lettera d’amore.

Flow e mood sono due forze invisibili ma potenti. Il problema? E’ sono anche volatili. Basta poco per perderli.

Oggi parliamo di una domanda più pratica di quanto sembri, ma che spesso blocca chi vuole scrivere, o sta cercando di farlo in modo più costante: Dove si scrive? E come si scrive, davvero?

Certo, l’immagine romantica dello scrittore in ritiro in una baita di montagna ha il suo fascino.

Ma la verità è che la maggior parte dei libri si scrive nei ritagli di tempo: tra un impegno e l’altro e l’altro, a casa dopo cena, in una pausa pranzo con un caffè e le cuffie. Ognuno in base alle proprie abitudini e alle proprie disponibilità, di tempo e di spazio.

Come si struttura un’idea? E soprattutto: Come si capisce quando si è pronti per iniziare a scrivere davvero?

Le idee sono come semi: piccole, vitali, piene di possibilità… ma anche vaghe, confuse, a volte troppo leggere per reggere un intero romanzo o racconto.

Una frase, un’immagine, una scena, tutto questo può esserel’inizio, ma non è ancora una struttura.

Ecco perché serve un passaggio intermedio: capire sequell’idea ha le gambe per camminare.

Per molti, l’ispirazione è come una musa capricciosa. Arrivaquando vuole, nel cuore della notte, mentre sei in auto o in metropolitana, o sotto la doccia. Non puoi controllarla. Non puoi chiamarla. Puoi solo sperare che si presenti — e quando lo fa, scrivere in fretta prima che svanisca.

È un’immagine bellissima e in parte vera. Ma se ci affidiamo solo a questo… finiamo per non scrivere mai.

Oggi rispondiamo a una domanda che mi è stata fatta tantevolte, in tante forme diverse. La domanda è semplice, ma la risposta no. “Quanto tempo ci vuole per scrivere un romanzo?”

Scrivere un romanzo può voler dire tre mesi o tre anni. Perché il tempo non è solo quello dell’orologio, è anche il tempo interiore. Quello che ti serve per capire davvero cosa vuoi raccontare. Per conoscere i tuoi personaggi. Per trovare quella voce che non è né troppo simile a quella degli altri, né così distante da non sembrarti più tua.

Oggi parliamo di una domanda che affiora spesso, soprattutto quando iniziamo a scrivere: “Sto scrivendo narrativa o poesia?”

Oppure: “Questo testo è un racconto… o è una poesia travestita?”

Non è solo una questione di definizione.

È una questione di intenzione. E, se non facciamo chiarezza, rischiamo di perderci.

Oggi iniziamo con una delle domande più frequenti e, diciamolo, anche una delle più insidiose.

Che genere scrivi? Può sembrare una domanda innocente. Una curiosità. E invece spesso nasconde un mondo di aspettative, di limiti, di definizioni.

“Che genere scrivi?” Significa: in quale scaffale ti metti? Che tipo di pubblico ti immagini?

Chi sei, come autore?

E se non sappiamo rispondere, o se rispondiamo “un po’ di tutto”… beh, c’è chi ci guarda con diffidenza. Come se non avessimo ancora deciso. Come se non sapessimo dove stiamo andando.