
L’io’ non è una cosa. L’esperienza di riflettere e le emozioni
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Man mano che ci appropriamo del linguaggio, aggiungiamo una dimensione fondamentale alla nostra esperienza: la dimensione del tempo cronologico. Il tempo cronologico è totalmente diverso dal tempo vissuto, ossia l’esperienza tacita, come muta è l’esperienza pre-riflessiva di vivere, che le parole ci aiutano ad indicare, ma che non può mai essere pienamente rappresentata da parole e concetti astratti. Perchè la nostra esperienza di vivere è simile a un fiume che seppur avendo una specifica identità, è sempre in divenire. Con le parole, posso raccogliere dell’acqua, ma quell’acqua è il fiume.
Il tempo del nostro ‘io’, invece, è il tempo della nostra attenzione, è il tempo del nostro parlare: delle storie che ci raccontiamo, che hanno sempre un prima e un dopo, con fatti che si susseguono in una logica sequenziale.
Man mano che racconto storie e indico esperienze, infatti, arriva un momento, solitamente verso i due anni di età circa, in cui comincio a dire ‘io’, riferendomi alla mia esperienza di esserci.
E questo io diviene protagonista di una storia.
Una, dieci, cento, mille storie che ci emozionano di volta in volta in un particolare modo, che ci fanno sentire in un determinato modo.
Questa storia, o sarebbe meglio dire, queste storie, divengono un modo, unico e peculiare, di organizzare l’esperienza per provare a renderla prevedibile.
Le prime storie su di noi, sono sempre le storie, le narrazioni, di chi si occupa di noi. Le ereditiamo.
Istituzioni, religioni, filosofie si contendono ed offrono le narrazioni più importanti con cui definirci e orientarci nel mondo.
Poi, man mano, se ci viene data la possibilità, possiamo divenire sempre più autonomi nel raccontarci la nostra storia.
Linguaggio è Salute Mentale
Raccontarsi storie è un aspetto centrale del nostro equilibro emotivo e della nostra salute mentale. Il linguaggio non serve più ‘solo’ per sintonizzarsi con gli altri, ma, a partire dai due anni di età, diviene uno strumento anche per ‘parlar-si’, per rendersi intelligibili a se stessi.
Le storie ‘stabilizzano’ la nostra esperienza di vivere e per questo sentiamo il bisogno di condividerle, e, se ci fanno sentire bene, di ripeterle.
Il raccontare la propria esperienza diviene un modo di ‘ancorarsi’ alla realtà, che fornisce stabilità rispetto all’incredibile, e destabilizzante, esperienza di vivere.
Esperienza di vivere caotica, difficile, complessa, fatta di sofferenza e difficoltà, ma soprattutto, di emotività.
Perché fa un certo effetto essere vivi.
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